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Criptovalute nel mondo dell’arte. Tutto quello che c’è da sapere

Youl. The Last (Bitcoin) Supper
Youl. The Last (Bitcoin) Supper

La georgiana Eleesa Dadiani, titolare della galleria d’arte in Cork Street, Londra, ha detto alla Bbc che lei si aspetta solo cose buone «per il futuro delle criptovalute nel mondo dell’arte. Credo che possano attirare anche nuove tipologie di investitori internazionali, in un mercato globale da circa 60 miliardi di dollari». Da lei puoi già comprare le sue opere con tutte le valute digitali, non solo bitcoin, ma Ethereum, classic, Dash, litecoin «e presto Montero».

Non è che Eleesa ha fatto scuola. Assieme a Londra, c’è Manchester, la Crypto Art Gallery. Sparse nel mondo, di iniziative del genere ce n’è più di una. Marciano da sole, ognuna a modo suo, piccoli cerchi d’acqua che si allargano nello stagno, come capita quando il futuro comincia a venirti addosso. Non sarà tutto oro che luccica. Ma è meglio darci un occhio. La Galleria on line Cointemporary espone sul web opere d’arte digitali di artisti internazionali che possono essere acquistati solo con bitcoin attraverso i servizi della società americana Coinbase. Marcelo Garcia Casil, direttore esecutivo e fondatore della piattaforma Maecenas, ha avviato invece un mercato online che permette ai proprietari delle opere d’arte di venderne quote fino al 49 per cento del valore. Pure qui si va alla ricerca di nuovi investitori, quelli che non potrebbero permettersi l’acquisto per intero di pezzi multimilionari: da Marcelo, però, attraverso transazioni crittografate con ethereum, riescono a comprare alcune partecipazioni.

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Molti non si sanno spiegare questo successo. Qualcuno è arrivato a dire che il suo segreto sta nell’anonimato, nella difficoltà di poter rintracciare l’acquirente. Non è così, anche se c’è già stato chi ha avanzato il sospetto che la mafia del futuro possa trasferire i suoi investimenti proprio dalla finanza alle criptovalute.

Cerchiamo di capire. La bitcoin non viene emessa da uno stato sovrano o da una banca centrale. Viene generata dai computer, tramite calcoli complessi che ne garantiscono il valore e la sicurezza nei pagamenti. E’ una moneta elettronica creata nel 2009 da un anonimo inventore, noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. Il suo valore, per dirla in breve, è determinato dalla leva domanda e offerta, che detto così vuol dire poco o niente. Ma fidatevi. E’ cresciuta a dismisura, in tempi rapidissimi, persino inspiegabili, come se uno potesse scalare l’Everest non smettendo mai di correre.

La rete bitcoin consente il possesso e il trasferimento anonimo delle monete, anche se poi vedremo che in realtà potrebbe non essere proprio così. Sta di fatto che a dicembre 2012 il controvalore dell’economia bitcoin era di 140 milioni di dollari, un’inezia. Nell’aprile 2013 era già di 1,4 miliardi. E a novembre dello stesso anno di 6 miliardi. Un bitcoin veniva cambiato per 540 dollari americani. Ma il 28 novembre 2017 ha superato quota 10 miliardi di dollari (per l’esattezza 10 e 831) sulla piattaforma Coinbase, il più grande exchange Usa. Da lì, a onor del vero, ha cominciato a scendere. Mentre toccava la vetta, molti cominciavano ad aver paura.

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In questo mercato sull’orlo di una crisi di nervi, tutto comincia ad accadere. In Italia, la rivoluzione della moneta elettronica ha mosso i suoi primi passi da Torino, fra molti timori e grandi speranze, alla casa d’aste Sant’Agostino. Due vendite. Nella prima, il 23 e il 24 ottobre di quest’anno, il successo è stato al di là di ogni aspettativa: 800mila accessi, fatturato di 1,2 milioni d’euro, e il 7 per cento in bitcoin, come ha testimoniato la titolare, Vanessa Carioggia, che è un dato straordinario, considerando il noviziato e il Paese ancora abbastanza vergine. «I compratori in criptovaluta venivano quasi tutti dall’estero». Francia, Inghilterra e America. Cioé, dai posti dove questa economia sta prendendo piede. Erano quasi tutti nuovi acquirenti. Ma anche qui bisogna andarci cauti. L’economia basata sui bitcoin, anche se in grande espansione, è ancora molto piccola.

Nel mondo dell’arte, una delle più famose casa d’aste del mondo, Sotheby’s, ha già fatto sapere con il suo caratteristico aplomb molto english che non ha nessuna intenzione di convertirsi. In compenso, va detto che sono in aumento enti, organizzazioni e associazioni che accettano versamenti in bitcoin: fra le prime, la Electronic Frontier Foundation, The Pirate Bay, persino Wikimedia Foundation. Dal novembre 2012 l’Università di Nicosia, Cipro, ha inserito la bitcoin come mezzo di pagamento delle tasse universitarie. Dal luglio 2016, nella città di Zugo, Svizzera, è possibile pagare in bitcoin alcuni servizi pubblici, tra cui sanità e trasporti. Poi, in tutto il mondo, ci sono singoli commercianti che permettono di cambiare bitcoin in diverse valute, dollari, euro, rubli e yen. In questo caleidoscopio, l’arte ha un ruolo fondamentale, perché con la grande crisi è diventata una delle più importanti fonti di investimento. E nell’arte, è la domanda che muove l’offerta.

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Torniamo allora al punto di partenza. Perché alcuni investitori si rivolgono alla bitcoin? Molti sostengono che sia per via dell’anonimato, garantito dal fatto che non si tratta di una moneta emessa da una banca centrale e da uno Stato sovrano. Non crediamo che sia così. Il metodo più sicuro per effettuare pagamenti nel completo anonimato rimane ancora il contante. Tutte le transazioni in bitcoin vengono archiviate in un registro chiamato blockchian, e attraverso questo libro mastro è possibile tracciare qualsiasi operazione. Ma la blockchian è indispensabile per avere la certezza dell’autenticità dell’opera. Ed esistono già delle sue applicazioni proprio con lo scopo di certificare la proprietà e i passaggi delle opere d’arte ed è sempre l’autore stesso a porre la firma sul primo documento. Una di queste applicazioni è la Verisart, un’app con un registro pubblico, basato su tecnologia blockchain, «anonimo e decentralizzato per gli artisti e i collezionisti». E’ interessante notare come quello dell’anonimato sia il messaggio scandito con più ossessività. E’ vero che è garantito. Ma all’interno del registro non può scomparire la tracciabilità dei passaggi. In ogni caso, l’app è gratuita ed è in grado di fornire un certificato per ogni singola opera d’arte che ne attesta l’autenticità. Ascribe e Monegraph funzionano in modo simile. Una volta consegnato un certificato a un quadro o a qualsiasi altro pezzo di valore, creato dallo stesso autore, questo potrà servire per tracciarne tutti i passaggi di proprietà. La Blockchain è inviolabile, e quindi è impossibile per i truffatori creare certificati falsi.

Il paradosso è che questo sistema sembra dare alla fine più garanzie di protezione che di fuga dai cacciatori delle tue ricchezze. Che poi tutto questo sia effettivamente vero, è ancora da provare. Come dice Eleesa, «siamo appena agli inizi». Dobbiamo capire ancora tante cose. Sfidare le nostre paure. Magari fare semplicemente come lei. «Io ci credo».

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