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Biennale di Architettura di Orléans. Intervista esclusiva al curatore Luca Galofaro

Patrick Bouchain, Théâtre du Centaure, Marseille, 2002. Collection Frac Centre-Val de Loire Patrick Bouchain, Théâtre du Centaure, Marseille, 2002. Collection Frac Centre-Val de Loire
Patrick Bouchain, Théâtre du Centaure, Marseille, 2002. Collection Frac Centre-Val de Loire
Patrick Bouchain, Théâtre du Centaure, Marseille, 2002. Collection Frac Centre-Val de Loire

Camminare nel sogno di un altro” è il titolo della prima edizione della Biennale di Architettura di Orléans. Curata da Abdelkader Damani e Luca Galofaro, aprirà il prossimo 13 ottobre e durerà sei mesi. 8 location diffuse nella città, 45 artisti e architetti coinvolti, 6 simposi tematici, 2 residenze d’artista e 3 cataloghi.

Abbiamo intervistato Luca Galofaro

  • Nel suo approccio curatoriale, quali aspetti dell’architettura ha voluto privilegiare? Quali criteri ha utilizzato nel selezionare gli architetti da invitare?

Abbiamo guardato agli architetti interessati alla costruzione di un pensiero che non sempre coincide con la costruzione di edifici. Manthey Kula, Didier Faustino, Aristide Antonas, Beniamino Servino, pensano l’architettura come un sistema di narrazioni sovrapposte, che ci guidano verso il progetto del reale in modo diverso da come siamo abituati a pensare l’architettura. Costruiscono i loro progetti attraverso una sperimentazione narrativa.

Questa è una biennale di collezioni che rifiuta di presentare l’architettura in un modo tradizionale, attraverso oggetti finiti, gli edifici. Vogliamo raccontare l’inizio del processo di costruzione e non la fine di questo processo. L’architettura per noi si costruisce attraverso l’incontro di immaginazioni diverse, prende forma lentamente. Se poi si guarda ai singoli progetti ci accorgiamo di come siano una diretta conseguenza della realtà con cui entrano in contatto. Il paesaggio per Manthey Kula, la memoria collettiva per Servino, l’abitare contemporaneo per Antonas.

Luca Galofaro
Luca Galofaro
  • Pur ospitando la Biennale d’Architettura di Venezia, l’Italia, quella politica, non sembra imparare molto in materia di buone pratiche edilizie, ricostruzione del post-sisma, eccetera Lei pensa che in Francia ci sia un’attenzione diversa, nei confronti delle potenzialità degli architetti?

In Francia c’è molto rispetto per la professione, e anche la cultura del progetto. Ma questo è frutto di  molti anni di lotta degli architetti e di un rispetto nei confronti dell’architettura come disciplina.

Concorsi, edifici costruiti rapidamente, giusti compensi, l’architettura in Francia è anche un interesse politico ed economico. In Italia è proprio lo Stato a non dar valore al lavoro degli architetti. Non esiste rispetto, non esiste una legge per l’architettura.

  • Questa prima Biennale, contiene nel titolo un riferimento all’universo onirico. Crede che una delle potenzialità dell’architettura, sia quella di aprire nuove prospettive, anche solo nel modo in cui si guarda a un paesaggio su cui è appunto intervenuto un architetto? Quanto incide, in generale, l’utopia, nel sentire degli architetti?

L’utopia di cui si parla sempre più spesso non ha nulla a che vedere con il progetto, è oramai pura immagine svuotata da ogni significato. Hans Hollein negli anni Sessanta ruppe con l’immagine idilliaca dell’architettura, sostituendola con oggetti d’uso comune dichiarando che tutto è architettura; non pensava più in termini di stile, di convenzionali opere architettoniche, ma considerava l’architettura come l’arte, espressione dello spirito umano. Così facendo ha determinato la fine di ogni utopia, e l’inizio del contemporaneo, in cui l’architettura entra a far parte di una narrazione di spazi completamente nuova.

2A+P/A, A house from a drawing of Ettore Sottsass, 2012-17 - Photographie : Antonio Ottomanelli, 2013
2A+P/A, A house from a drawing of Ettore Sottsass, 2012-17 – Photographie : Antonio Ottomanelli, 2013

Architettura e territorio si fondono nel momento esatto in cui tutto è diventato realmente architettura.  Sono fermamente convinto che sia opportuno praticare l’architettura come disciplina di pensiero e progetto, andando oltre la semplice produzione di forme e oggetti. In questa Biennale per esempio le due mostre monografiche, la prima dedicata a Patrick Bouchaine e la seconda a Guy Rotier, lanciano un messaggio preciso, un’ architettura di prospettiva è un architettura costruita come dimostra il lavoro di Bouchaine, oppure solo disegnata come la maggior parte dei progetti di Rotier. Entrambi hanno avuto e continuano ad avere una grande influenza oggi.

  • Orleans, come tutta la Francia Centrale, vanta numerosi esempi di architettura storica di grande valore. Si è cercato anche un dialogo con questo passato, oppure si è voluto soltanto guardare avanti?

Guardare avanti significa saper guardare indietro, a noi non interessa la storia in quanto già accaduta.

Il nostro è un modo di rivolgersi al passato attraverso immagini e progetti che sono capaci di innescare un meccanismo di riflessione utile al progetto.  Il passato riattivato attraverso immagini dialettiche, una cosa importante in questa mostra è il dialogo che si instaura tra progetti che appartengono a tempi diversi, è al contempo, distrutto e trasformato. È distrutto nel senso che si toglie al passato la sua condizione di irreversibilità, di qualcosa di inesorabilmente compiuto, di necessario, di continuo. Si distrugge il passato come ciò che è stato e si trasforma nel presente in una possibilità per il nostro futuro. Le immagini così prodotte non sono un punto di arrivo, sono invece una  uova partenza che contiene le linee guida di un discorso da sviluppare attraverso gli strumenti della progettazione. Questa per noi è un’architettura di prospettiva.

Patrick Bouchain, Accadémie Fratelleni, 2002. Photographie : Michel Denancé
Patrick Bouchain, Accadémie Fratelleni, 2002. Photographie : Michel Denancé
  • In linea generale, un po’ come l’Italia, anche la Francia ha nelle periferie aree molto sensibili. La Biennale guarda anche a queste realtà?

La biennale guarda alle aree sensibili in modi diversi. Il gruppo Perou e Nidhal Chamekh scrutano e si immergono in una zona oscura della nostra contemporaneità, l’osservazione e l’immersione in un mondo di mezzo. Dove la distanza con l’altro assume una misura distorta e preoccupante l’essere così vicini fisicamente ma allo stesso tempo lontani, immersi nell’inquietudine e nella paura.  La “giungla” per esempio è  il più grande campo profughi di tutta Europa dove circa 5.500 persone vivono accampate nel fango e malate di fame, dista più di venti chilometri dalla stazione e solo 29 chilometri di mare da quella Londra che viene vissuta come il luogo della salvezza. La distanza tra la giungla e il mondo è enorme. Calais è il luogo dove si misura la distanza tra il mondo di ieri e quello di domani è il luogo della possibilità come dichiara Sébastien Thiéry. Un città con tutti i suoi spazi non accettata, dal mondo che la circonda. Il gruppo Antisufix porta avanti una ricerca sul diritto alla scuola in alcuni quartieri disagiati della periferia di Napoli, che come realtà coincide con tante realtà delle captali Europee.

  • Passando alla stretta attualità, cosa pensa del restauro della Cattedrale di Chartres? È sufficientemente rispettoso del passato dell’edificio?

Penso che venendo da una città come Roma io debba accettare il dialogo tra la storia e il contemporaneo. Molte volte è un bene che si possa leggere in un restauro una differenza con il passato.

Informazioni utili: http://www.frac-centre.fr/_en/exhibitions/soon-biennale-architecture-orleans-876.html

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