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I colori del Mediterraneo. Le poesie sulla tela di Marini e Miró, a Pistoia

Joan Miró - Barrio chino,1971, litografia originale a colori - Guastalla Centro Arte, Livorno Joan Miró - Barrio chino,1971, litografia originale a colori - Guastalla Centro Arte, Livorno
Joan Miró - Barrio chino,1971, litografia originale a colori - Guastalla Centro Arte, Livorno
Joan Miró – Barrio chino,1971, litografia originale a colori – Guastalla Centro Arte, Livorno

Una mostra a Palazzo del Tau racconta il lato a colori della carriera di Marino Marini: più noto per le sue sculture, il maestro pistoiese vanta anche un’originale stagione pittorica che molti punti di contatto con l’artista catalano. In collaborazione con la Fundació Mirò, nell’ambito di Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017. Fino al 7 gennaio 2018. www.fondazionemarinomarini.it

Pistoia. Una lunga amicizia nata negli anni Cinquanta legò Marino Marini (1901-1980) e Joan Miró (1893-1983), che ebbero modo di conoscersi a Parigi nell’atelier di Fernand Mourlot, titolare dell’omonima stamperia che un suo avo aveva fondata nel 1852, e specializzatasi, sin dagli anni Trenta, in litografie d’arte. Nel 1945 vi approdò anche Pablo Picasso, e sulla sua scia anche i suoi comuni amici Marini e Miró, i quali, appunto, qui si conobbero di persona. Entrambi artisti internazionalmente affermati, alla base del loro stile stava la ricerca della semplicità della forma: pochi tratti, dipinti o scolpiti, per raggiungere la completezza, scavare a fondo nei volumi e rappresentarne l’essenza.

Marino Marini, Cavallo, 1953   (tempera e smalto su carta) Fondazione Marino Marini, Pistoia
Marino Marini, Cavallo, 1953 (tempera e smalto su carta) Fondazione Marino Marini, Pistoia

Dagli incontri parigini, nacque anche un fitto rapporto epistolare, documentato dalle lettere esposte a Palazzo del Tau. Miró e Marino. I colori del Mediterraneo è una mostra di assonanze formali e cromatiche al di là dello spazio e del tempo, sospesi in un cosmo che s’intuisce infinito. Ad accomunare i due artisti, una tavolozza luminosa come spiega già il titolo, profondamente mediterranea, una tavolozza dove anche il nero assume un tono capace di emanare brillantezza dalla quale scaturiscono atmosfere vagamente ludiche, dove le forme in libertà, siano esse geometriche o vagamente zoomorfe, costruiscono momenti di evasione. Che però non sono immediatamente voluti, anzi nascono seguendo le vie dell’inconscio, come hanno dichiarato gli stessi artisti.

Marino Marini, Sintesi, 1960 (olio   su tela) Fondazione Marino Marini, Pistoia
Marino Marini, Sintesi, 1960 (olio su tela) Fondazione Marino Marini, Pistoia

Per Marini, la pittura non è un fattore secondario, ma ha radici antiche all’interno della sua carriera: già negli anni Trenta, si conoscono sue opere a matita, a tempera o ad acquerello, e si spingeranno fino agli ultimi anni della sua attività. Anni difficili, i Trenta, che vedono l’Europa nuovamente spazzata da venti di guerra, e attanagliata dalla morsa totalitaria. Dipingere, per Marini, diventa una via di fuga dalle tensioni quotidiane, dallo spettro della guerra (che lo costringerà a rifugiarsi in Svizzera dopo la perdita della casa e dell’atelier, andati distrutti in un bombardamento americano nel 1943), così come, nel dopoguerra, l’urgenza è quella di trasferire su una dimensione più accettabile il senso di smarrimento lasciato dalle macerie morali e materiali, e la cappa della Guerra Fredda che come un sudario gravava sul nuovo assetto mondiale. Si tratta quindi di una pittura immediata, che nasce da dentro, e nasce come una reazione alla realtà esterna.

Joan Miró, Maqueta per a Els gossos VII, 1978 (gouache, pastello, inchiostro e collage su carta) Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca
Joan Miró, Maqueta per a Els gossos VII, 1978 (gouache, pastello, inchiostro e collage su carta) Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca

Anche Joan Miró ebbe con la pittura un rapporto simile, con implicazioni del subconscio; per sua stessa ammissione, il suo carattere lasciava spesso emergere un lato di tragico fatalismo, non sorprendente in uno spagnolo, il cui ascetismo contemplativo nasceva da un rigido cattolicesimo radicato nei secoli e da paesaggi di arida bellezza. Elementi che anche Miró aveva assorbito, e ai quali fu costretto ad aggiungere, dal 1939, la dittatura franchista, la quale non decretò mai alcun riconoscimento al suo talento artistico, a differenza del resto del mondo.

Marino Marini, Oggetti nello   spazio, 1967 (tempera su tela) Fondazione Marino Marini, Pistoia
Marino Marini, Oggetti nello spazio, 1967 (tempera su tela) Fondazione Marino Marini, Pistoia

Dalle pitture apparentemente naif di Marini e Miró, emerge tuttavia una forza espressiva che sancisce a vittoria dell’immaginario sul reale, inserendosi nel clima intellettuale dei Canti di Maldoror, scritti nel 1868 dal franco-uruguagio Isidore Ducasse meglio conosciuto con lo pseudonimo di Conte di Lautréamont. Un’opera che, con ironia, prende una rivincita sulla miseria umana del XIX Secolo, e che in un certo senso tracciò la strada del Surrealismo, di cui Miró fu uno degli epigoni.

Per Marini la pittura è il punto di partenza per studiare le forme da sviluppare nella tridimensionalità della scultura, mentre lo spagnolo asseriva di non fare differenza fra pittura e poesia. Entrambi gli artisti non sono quindi semplici pittori, ma i colori sono materia di ragionamento su altre discipline culturali, allargandone lo spettro espressivo; la pittura diviene un linguaggio segreto da cui partire per andare oltre la realtà.

Tutte le informazioni:  www.fondazionemarinomarini.it

Joan Miró, Oda a Joan Miró, 1973 (litografia originale a colori) Guastalla Centro Arte, Livorno
Joan Miró, Oda a Joan Miró, 1973 (litografia originale a colori) Guastalla Centro Arte, Livorno

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