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Intervista Gianluca Balocco. Quando la diversità è un valore aggiunto

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Fotografo, artista e architetto, mette in atto composit fotografici come atto di memoria, di denuncia, scandaglia le diversità ricordandoci che  è un valore aggiunto. Ha donato parte del ricavato di una sua opera fotografica alla Fondazione Donna a Milano Onlus, opera presente durante il MIA Photo Fair (10-13 marzo, Milano), ed è in corso una sua mostra a Palazzo Ducale di Mantova. L’abbiamo intervistato in occasione dell’edizione 2017 del MIA.

Hai partecipato al MIA Photo Fair con l’.opera Blood For Breakfast, un living set dove ha messo in scena la procreazione femmine/maschile Spiegaci
È un progetto presentato in collaborazione con Fondazione Donna a Milano Onlus particolarmente sensibile ai problemi della violenza e dello sfruttamento femminile nelle aree urbane milanesi ma anche impegnata in progetti di aiuto e informazione nelle aree più povere del mondo, e grazie al contributo di Big Broker Ciaccio Arte.
La violenza in “Blood for breakfast “ è intesa come un eccesso di scarto, una deriva del potere che da millenni impone il proprio schema in modi diversi. Direi che spesso l’atto violento è una scoria non elaborata nell’esperienza del dolore, della perdita del potere o dell’ elaborazione della morte. Chi oggi ripetutamente mette in atto questo tipo di energia negativa ha perso il contatto con la propria consapevolezza vitale e con il senso del proprio corpo (dal soggetto violento alla violenza mediatica).
La violenza attecchisce nella deprivazione di dignità dell’altro, nella perdita della parola e si manifesta ormai troppo spesso in ambito maschile, dove si ripete ossessivamente come un’inquietante perdita di potere e di controllo.
In questo tempo di crisi della parola e di deriva del pensiero, la paura e l’orrore occupano i vuoti causati dall’assenza di emozioni e della latitanza del respiro lasciando il campo libero alla messa in scena della violenza.

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L’opera è stata donata in beneficenza per la Fondazione Donna a Milano Onlus, cosa andrà a finanziare?
L’opera è tuttora proposta in stampa fine art 170×150 cm con una base libera da 2.500 euro. Chiunque può fare un’offerta inviandola a info@fdmonlus.it e info@oikema.it. Il 50% verrà devoluto alla Fondazione Donna a Milano Onlus per avviare una campagna di supporto a donne vittime di violenza. Le offerte libere verranno raccolte fino alle h. 24 del 15 aprile 2017.

A Palazzo Ducale di Mantova è in corso la mostra The Image throught the senses, dove l’abbraccio, e quindi il tatto, è l’elemento, il soggetto principale. Come nasce questo progetto?
La mia ricerca prende spunto dalla relazione dell’uomo con il proprio ambiente naturale e soprattutto con il mondo vegetale. Se paragoniamo le donne non vedenti alle piante, e immaginiamo che queste, prive di vista, non possano vedere nulla ci rendiamo conto che cadiamo nello stereotipo più comune. Le donne non vedenti, come le piante, sono estremamente sensibili, anche se al nostro sguardo ci appaiono cieche così come le piante sembrano inanimate e senza intelligenza.
Qualcuno mi ha chiesto se questo fosse un’opera per ciechi. In realtà questo lavoro pone provocatoriamente a confronto due approcci cognitivi: quello visivo e quello tattile. Noi vedenti utilizziamo in ogni istante della nostra vita gli occhi considerati strumenti indispensabili della conoscenza, ma spesso non ci rendiamo conto che è attraverso il contatto che facciamo l’esperienza più profonda ed è sempre il tatto che ci permette di conoscere il mondo.
Immaginando non è una installazione museale creata per i non vedenti, ma è un progetto che ho potuto realizzare solo grazie alla loro esperienza e condizione e che mostra come immaginare non dipenda dall’uso degli occhi.
In questo lavoro ho incrociato due paradigmi dell’iconologia contemporanea, dove entra in gioco il senso della fotografia con il proprio potere taumaturgico del cogliere l’istante rendendolo senza tempo e quello dell’esperienza che cerca il legame col mondo reale tipico dell’arte figurativa scultorea. Cioè del fare e del toccare la materia.

Chi sono le donne presenti nelle tue fotografie?
Durante la realizzazione delle riprese tre donne non vedenti hanno potuto muoversi all’interno del Palazzo Ducale di Mantova su un tappeto di foglie cercando liberamente il contatto con le statue nel loro percorso. Volevo suggerire delle suggestioni, raccolte come testimonianza all’interno del catalogo della mostra, e che hanno rivelato l’estrema sensualità e fascino di questo incontro tra due corpi, quello reale e quello immaginario delle statue classiche greco-romane.

Nelle tue composizioni sono sempre presenti degli elementi di tessuto e vegetali, perché ?
Gli elementi del tessuto richiamano, nella finzione fotografica, l’idea del tattile. I tessuti si inseriscono nel composit fotografico come elementi disambigui perché ingannano l’occhio, dato che sono ingranditi molte volte, ci ricordano, negandosi in questa accezione, come sia importante e piacevole l’esperienza del toccare. Ho scelto dei tessuti antichi perché da sempre appartengono all’espressione della rappresentazione scultorea e da sempre esprimono la nostra seconda pelle. Le foglie e la vegetazione sono stati, e sono tutt’ora, uno degli componenti fondamentali per la produzione del tessuto e che ci legano indissolubilmente ancora una volta al mondo vegetale. I tessuti, le foglie, gli elementi vegetali, nonché le fotografie delle donne non vedenti ritratti in modo familiare da bambine, sono contenute in una teca light-box come elementi fisici reali.
Al pubblico vedente viene negato il contatto e la tattilità con questi elementi mentre ai visitatori non vedenti è permesso aprire la light-box per prendere contatto con gli elementi che sono stati utilizzati nelle foto.

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Tu usi la fotografia come strumento scientifico, antropologico, ecologico. È fortemente presente l’elemento spirituale. In qualche modo il tuo lavoro è autobiografico?
Tutto il mio lavoro è autobiografico, deriva dalle esperienze e dal contatto diretto con situazioni reali e con punti di vista condivisi con altre persone. Nel mio modo di intendere le relazioni e la vita non c’è interruzione tra me e l’altro, né tra me e l’ambiente in cui viviamo (tutti) fortemente connessi al di là della nostra consapevolezza.

Secondo te l’arte è in grado di far superare pregiudizi e incomprensioni?
L’arte da sempre ha interpretato il bisogno dell’uomo di elevarsi dal proprio stato di necessità. L’arte fa parte di un gioco condiviso con l’altro, e in quanto tale, diventa contenitore libero del confronto, del punto di vista soggettivo-oggettivo e opportunità di evoluzione sociale e personale tra le più belle e vere. Del resto in quali altre occasioni possiamo ancora confrontarci con così tanta libertà e possibilità di diffusione?

Come inizia il tuo percorso artistico?
In senso temporale lineare inizia 45 anni fa quando, da molto giovane, ho sentito questa vocazione. In tutto questo tempo la cosa più bella è sempre stata condividere con gli altri dei pensieri anche semplicemente e che non si vive solo per dormire, lavorare e pagare le bollette. In senso anacronistico inizia ogni mattina verso le 6 quando ringrazio la vita per darmi un’altra possibilità di capire apprezzare e condividere la bellezza che trovo dove non avevo visto fino al giorno precedente.

C’è un artista del passato al quale t’ispiri o che avresti voluto essere? O un’opera che avresti voluto dipingere tu?
Francis Bacon, l’urlo del Vescovo. Ma anche l’ultima cena del Tintoretto o la Crocifissione di S.Pietro di Caravaggio, mi fanno provare la stessa emozione.

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