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L’arte in movimento negli scatti di Claudio Abate

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Mario Merz

Dopo le “Donne allo specchio” di Mario De Biasi e “Lo stupore della scultura” di Vasco Ascolini,
sabato 16 luglio inaugura “Mario e Marisa Merz” di  Claudio Abate 

Autore della famosa fotografia del 1972 nella quale sono ritratti Giorgio de Chirico che si allontana a capo chino, guardato come in segno di sfida, dal giovane Gino De Dominicis, a testimoniare un simbolico cambio di un’epoca e a passaggio di un metaforico testimone, inaugura alla Boss Gallery di La Spezia la mostra di Claudio Abate, la terza della rassegna estiva 2016.

Trasversale a tutte le correnti artistiche e osservatore imparziale per diverse generazioni di moltissimi eventi artistici, il lavoro di Claudio Abate (Roma 1943) si contraddistingue per il suo approccio personale sulla visione dell’arte di cui è stato complice e testimone diretto.

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Abate comincia a frequentare gli artisti e a fotografare l’arte fin dall’età di sedici anni, quando aprì il suo primo studio fotografico nella storica Via Margutta, nel 1959, all’epoca la strada dei pittori e degli scultori romani, e sebbene possa essere sedotto dalla fotografia di reportage (per la collaborazione col fotografo americano Erich Lessing dell’agenzia Magnum), e dall’avanguardia italiana legata alla fotografia neorealista, Abate fin dagli inizi trova la sua identità nel mondo dell’arte. L’arte è l’humus a lui più congeniale, che si tratti di teatro, performance, installazioni, opere temporanee, ritratti, mostre…

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Sono gli anni del cambiamento e si sovvertono tecniche, linguaggi, contenuti, e modi tradizionali di fare arte, oltre che di fare fotografia, ovviamente, ed a lui, col suo nuovo modo di fare fotografia, interessa l’avanguardia: riprende gli happening dell’“arte in movimento” di quegli artisti, allora esordienti, pronti a mettere in discussione lo status quo.

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Arte Povera, Minimalista, Concettuale, Body Art, Land Art, Living Theatre, tutte le espressioni artistiche innovative di quel periodo sono state immortalate, e rese immortali, dallo sguardo di Claudio abate. La sua è un’interpretazione soggettiva, che attraverso luci, taglio prospettico, angolazione, colore ed atmosfera, restituisce il significato dell’intero lavoro dell’artista a rivelarne la poetica. La sua spiccata percezione dello spazio con l’uso sottile dell’ironia, la scelta ricorrente del punto di vista frontale, la forte empatia con il soggetto, il suo intendere l’immagine come unica, l’uso informale della macchina fotografica e la sensibilità intuitiva dell’uomo, fanno di Claudio Abate uno dei più grandi fotografi italiani, anche per le sue ricerche personali, ancora poco conosciute.

Nel 1959 incontra Carmelo Bene con il quale inizia un sodalizio importantissimo documentandone per dieci anni, dal 1963 al 1973, teatro e cinema come fotografo di scena, davanti e dietro le quinte. Immagini incisive che ancora una volta svolgono un ruolo salvifico perché riferite a opere di cui non si conoscono altre memorie visive. Di Carmelo Bene rappresenta ben nove opere teatrali – Cristo 63, Salomè da e di Oscar Wilde, Faust o Margherita, Pinocchio ’66, Il Rosa e il Nero, Nostra Signora dei Turchi, Salvatore Giuliano, Arden of Feversham, Don Chisciotte – e il lungometraggio Salomè.

Alla fine degli anni Sessanta Claudio Abate, dopo un periodo Hippy, è il fotografo “ufficiale” dell’avanguardia artistica romana. Sono sue le fotografie (fondamentali) di esemplare chiarezza delle azioni e delle opere che riscrivono la storia dell’arte attraverso scatti che sono divenuti parte della memoria collettiva.

Mario e Marisa Merz all'Aeroporto Roma Urbe, 1970.
Marisa Merz con Fabio Sargentini all’Aeroporto Roma Urbe, 1970
Mario e Marisa Merz all'Aeroporto Roma Urbe, 1970.
Mario e Marisa Merz all’Aeroporto Roma Urbe, 1970.

Le opere fotografate di Pino Pascali sul missile “Colomba della Pace” e sotto il grande ragno “Vedova Blu”, di Maurizio Mochetti con “Il punto di luce che corre a 180 chilometri all’ora”, di Jannis Kounellis nella mostra con i “12 cavalli vivi”, il “Motivo Africano” e la “Performance di Frederic Rzewski”, di Gino De Dominicis con la mostra lo “Zodiaco”, di Giuseppe Penone “Rovesciare i propri occhi”, Eliseo Mattiacci e Fabio Mauri e tanti altri sono incisive ed emozionanti. Non si può pensare all’arte italiana dagli anni Sessanta ad oggi, senza le fotografie di Claudio Abate e molte pagine di libri di storia dell’arte contengono le sue fotografie a documentare gli stimoli da lui rappresentati anche in campo sociale, politico ed intellettuale.

Luigi Ontani, Vettor Pisani, Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Mario Schifano, Gilbert & George, Anselm Kiefer, Joseph Kosuth, James Lee Byars, Hermann Nitsch, Christo, Nicola De Maria, Jan Fabre, con loro e tanti altri, Claudio Abate ha instaurato un rapporto di amicizia, confidenza e fiducia, e come un demiurgo ne ha capito la psicologia e la letteratura della loro creazione artistica rappresentando l’opera nelle sue fotografie/documento con complicità reciproca, risucchiando l’osservatore all’interno dell’opera.

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Mario e Marisa Merz presso la Galleria Mara Ciocca di Roma, 1968.

Su invito della vedova di Joseph Beuys nel 1986 ha realizzato l’impegnativa documentazione delle opere disposte dall’artista poco prima della sua morte nel Landesmuseum di Darmstadt in Germania, facendone una sorta di documento testamentario.

Con molti altri autori, con la gallerista Mara Coccia e specialmente con il gallerista Fabio Sargentini, entrambi di Roma, avvierà sodalizi destinati a protrarsi indelebilmente negli anni come per le mostre con i coniugi Mario e Marisa Merz, alcune delle quali in mostra a La Spezia, provenienti dalla recentissima mostra del Macro di Roma.

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Mario e Marisa Merz presso la Galleria Mara Ciocca di Roma, 1968

Claudio Abate documenta tutta la loro opera espositiva di Roma. Marisa Merz espone a Roma in diverse occasioni durante la sua carriera. Nel 1970 realizza la sua prima mostra personale in città presso la Galleria L’Attico di Fabio Sargentini, allora situata in un garage di Via Beccaria. L’anno prima aveva esposto li anche Mario Merz. In occasione della mostra espone alcune coperte arrotolate e imballate con filo spinato e scotch (senza titolo, 1966) e altre opere connesse a un contesto intimo e familiare.

Durante la preparazione della mostra, l’artista sollecita il gallerista ad organizzare per lei un sorvolo di Roma che si svolse il 28 febbraio 1970: Marisa sale su un velivolo Cesna F172G del 65 e comunica via radio le quote della rotta, ascoltate da Mario rimasto a terra, e appuntate su un foglio da Sargentini. Abate documenta tutta l’azione: nella sequenza fotografica, nella quale compaiono Marisa, Mario Merz e Fabio Sargentini, si vede anche il foglio sul quale Sargentini ha tracciato le quote della rotta che Marisa ha dettato dall’aereo. In quella stessa occasione Mario e Marisa si recano presso il Villaggio dei Pescatori a Fregene, vicino a Roma, e Claudio Abate scatta una sequenza in cui Mario si muove sul bagnasciuga con le coperte di Marisa, che saranno poi esposte in mostra presso il garage di Sargentini.

Marisa Merz
Marisa Merz alla Galleria d’Arte L’Attico in via Paradiso a Roma

Nel 1975 Marisa espone la sua seconda personale romana presso l’Attico, che nel frattempo si è spostata in un appartamento in Via del Paradiso. Qui Marisa Merz espone nuovi lavori realizzati a maglia, come i quadrati di rame, composti in grande quantità sulla parte, le scarpette, che indossa in una celebre fotografia in cui siede alla finestra mentre contempla la luna, e una serie di intrecci di nylon, uno dei quali compone la parola Bea, il nome di sua figlia.

Mario Merz realizza una mostra personale presso la Galleria L’Attico, all’epoca situata in un garage di Via Beccaria a Roma nel 1969. Nel 1968 Mario Merz partecipa ad una mostra collettiva presso la Galleria Mara Ciocca, dove espone l’igloo dal titolo Se il nemico si concentra perde terreno, se si disperde perde forza, opera in panetti di terracotta e neon. Abate ritrae Marisa Merz mentre partecipa al montaggio dell’opera. Tra installazioni in vetro, ferro, neon e fascine, Merz espone in mostra la macchina – una SIMCA 1000 grigia – con cui era venuto da Torino. Il lavoro di Abate dona all’instabile, al fugace, all’effimero, il sostegno e il supporto dell’immortalità, documentano opere che altrimenti non avremmo memoria visive.
Desideroso di nuovi stimoli, alla fine degli anni Ottanta Claudio Abate, trasferisce studio e abitazione nel più frizzante quartiere romano di San Lorenzo dove trova terreno di condivisione con la nuova generazione di artisti della così detta Scuola romana.

Marisa Merz, 1968
Marisa Merz, 1968

Claudio Abate ha esposto i propri lavori in numerose mostre nazionali ed internazionali: Punti Cardinali dell’Arte, XLV Esposizione Internazionale d’arte, Biennale di Venezia (1993); Claudio Abate, Vent’anni in atelier, all’Accademia di Francia, Villa Medici, Roma (2001); Protagonisti al MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma (2002); Roma Around 1970 al Museo d’Arte Contemporanea di Belgrado (2002); Biennale di Fotografia, Mosca (2004); Claudio Abate, fotografo (antologica), MART, Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, (2007), come anche La Base sous-marine di Bordeaux a fine 2009; Pino Pascali e gli anni ’60 alla Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano Terme (2008); BENEDETTE FOTO! Carmelo Bene visto da Claudio Abate, Palazzo delle esposizioni, Roma (2012); Claudio Abate: Obiettivo Arte, Triennale di Milano (2013).

“Per capire un poeta, un artista, a meno che non sia solo un attore, ci vuole un altro poeta e ci vuole un altro artista”.
Carmelo Bene

 

CLAUDIO ABATE
“Testimonianza fotografica originale su Marisa e Mario Merz”
dal 16 al 29 luglio 2016 | ore 18-24
Spazio BOSS
viale Mazzini – La Spezia
info@spazioboss.org

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