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Un salto nelle braccia dell’assurdo: l’Abramo di Kierkegaard e Caravaggio

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, 1603, Galleria degli Uffizi, Firenze Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, 1603, Galleria degli Uffizi, Firenze

«Dio tentò Abramo e gli disse: Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò.»

Genesi, 22, 1 sgg.

Tutto è perduto. Il dramma si compie.

Dio ordinò ad Abramo di abbandonare la sua terra per dirigersi verso il luogo che gli avrebbe indicato. Egli, accettato con fede il comando, ricevette come simbolo dell’alleanza un dono eccezionale: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e Dio aggiunse «Tale sarà la tua discendenza» (Gen. 15,5). Dopo infiniti tormenti ed enormi inquietudini, il figlio che mai avrebbe dovuto vedere la luce data la sterilità di Sara, sua moglie, venne promesso e vide la luce. Isacco nacque. Ma un’ultima prova doveva tentare il cuore di suo padre.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, 1603, Galleria degli Uffizi, Firenze
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, 1603, Galleria degli Uffizi, Firenze

Isacco, il figlio promesso, colui che avrebbe dovuto dare inizio alla stirpe più grande che la terra avesse mai visto,fu richiesto da Dio stesso in sacrificio. Sovrumano, inconcepibile. Eppure Abramo credette…

Preparò l’asino, prese con sé Isacco e lo condusse sul monte Moria. Una volta arrivati a destinazione, si mise a cercare del legno per costruire l’altare su cui compiere il sacrificio.

Che cosa accadde negli istanti successivi? Là, su quel monte, come poté Abramo prendere Isacco e stringergli il collo prima di immolarlo? «Non dubitò, non si mise a sbirciare a destra e a sinistra con angoscia, non importunò il cielo con le sue preghiere. Sapeva ch’era Dio, l’Onnipotente, che lo metteva alla prova; sapeva che si poteva esigere da lui il sacrificio più duro: ma sapeva anche che nessun sacrificio è troppo duro quando è Dio che lo vuole – e cavò fuori il coltello». Così scrisse Søren Kierkegaard nel 1843, nella sua opera Timore e tremore.

«Chi dette forza al braccio di Abramo?»

Kierkegaard, Timore e tremore

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, 1603, Galleria degli Uffizi, Firenze
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, 1603, Galleria degli Uffizi, Firenze (particolare)

Un altro genio si mise a riflettere, a suo modo, su quest’episodio: Michelangelo Merisi da Caravaggio. Nel suo celeberrimo e spettacolare Il sacrificio di Isacco immortala il medesimo istante su cui la mente sopraffina del filosofo danese si era tanto impegnata. Eccoci qui, immersi subito nel cuore dell’evento. La mano di Abramo, nodosa a causa dei lunghissimi anni di fatiche, afferra il pugnale affilato per portarlo alla gola del povero Isacco, ormai in preda al panico e alle urla. Perché? Perché tutto questo? Eppure Abramo credette…

«Per Abramo non ci fu nessuno che lo potesse comprendere. E cosa mai egli riuscì a ottenere? Di rimanere fedele al suo amore.»

Kierkegaard, Timore e tremore

Impensabile, inconcepibile. All’interno di ogni morale quest’uomo sarebbe ovviamente considerato come un assassino, il peggiore degli assassini. Tuttavia, il suo animo era saldo, saldo in forza dell’Assurdo. Così si legge in Timore e tremore: «Io non sono in grado di fare il movimento della fede: non posso chiudere gli occhi e precipitarmi fiducioso nelle braccia dell’assurdo, questo è per me impossibile». Invece Abramo credette. Credette in un Dio che gli aveva promesso ciò che il suo cuore desiderava profondamente. Credette in un Dio in virtù del quale non avrebbe mai potuto perdere la propria finitezza, la propria vita, ma l’avrebbe guadagnata tutta intera.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, particolare
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, particolare

E così l’angelo di Dio scese dal cielo a bloccare Abramo, intento a compiere il gesto tanto efferato. Con un tocco delicato il messo del Signore, in completa opposizione con la mostruosità del momento, interruppe l’omicidio. Una mano sorprendente nella quale “il padre della fede” non sperava e non osava sperare, poiché era il suo Signore a domandargli tutto ciò.

È bastato un istante; l’Eterno fa irruzione nella storia e la sconvolge. L’angelo indicò un ariete ad Abramo, ossia il reale sacrificio che egli avrebbe dovuto compiere.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, particolare
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, particolare

Il dipinto di Caravaggio è sublime. La sua finezza riesce a creare un’intimità sconvolgente tra il viso di Abramo e quello dell’angelo, instaura un dialogo puramente spirituale tra i due.

Ma il volto di Abramo è… pazzesco. Un volto imperturbabile, un volto che non si stupisce dinnanzi alla miracolosa apparizione. Un volto che ha detto «sì» a tutto ciò che Dio gli chiese. Ha detto «sì» a tutto ciò che la vita gli pose innanzi, poiché era Dio a porglielo innanzi. Trascorse una vita densa, una vita drammatica, condotta all’apice della sua paradossalità dalla prova dell’olocausto.

Eppure Abramo credette…

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, particolare
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Il sacrificio di Isacco, particolare

«Tu avevi ottenuto tutto e conservato Isacco – non era così? Il Signore non te lo tolse più». Una follia: «Egli credette in virtù dell’assurdo, poiché ogni calcolo umano era stato da tempo abbandonato». Il fascino dell’arte e della filosofia di fronte all’imperscrutabilità del disegno divino si manifesta in tutto il suo potere. Come possono una mano, quella di Caravaggio, e una mente, quella di Kierkegaard, penetrare così a fondo il mistero dell’uomo e il mistero di Dio? Non credo vi siano parole. A ben pensarci, è assurdo anche questo.

«L’intera figura del mondo ch’egli produce è una nuova creazione in virtù dell’assurdo. Si è rassegnato infinitamente a tutto ed ecco che ha riavuto tutto in virtù dell’assurdo.»

Kierkegaard, Timore e tremore

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