L’ultimo Hobbit non tradisce le scadenti attese: è una schifezza mostruosa per non dire, citando il Fantozzi della Potemkin, una “cagata pazzesca”. Giusto per finire quello che avevano iniziato il primo e il secondo episodio. Nessuna speranza di redenzione qualitativa, o perlomeno di miglioramento, nell’ultimo capitolo della trilogia hobbittiana.

Dopo la ovvia uccisione dello Smaug “desolato” dalla torretta-palafitta del paesello umano sull’acqua (Pontelagolungo), uomini, nani, elfi, orchi, mannari ed esseri vari si trovano tutt’insieme appassionatamente sotto il “ricco” “Cervino” della Terra di Mezzo a sfidarsi per la “vetta” e per il “grano”. Il Razzi-Crozza direbbe: “Amico caro sentimi a me, fatti un altro drago, pagalo e digli di bruciare tutti, così rimani solo te e la grana. Pof, pof, pof.“

L’unico “tessssoro” rimane quello del Gollum del “sequel”. Il “prequel” è, appunto, un disastro scontato e fatto male. Tutto va come previsto e/o prevedibile stando sulla poltrona rossa. Scaramucce naniche e permalosità elfiche, “orecchie a punta” e “ometti tozzi” che non si sopportano ma che alla fine, tanto, son sempre troppo amici. Bilbo furbastro Baggins che trama e porta pace coi suoi piedoni pelosi, Gandalf (ancora “Grigissimo”) che è sempre il più saggio e il più amato della combriccola. Una storia d’amore, poi, tra l’elfetta infatuata del nano e il nano perso dell’elfetta che finisce con uno spuntone nel cuore dell’essere più piccino e un Legolas alla Matrix che salta sui sassi del ponte ormai sbriciolato come un ninja nella risata generale del pubblico pagante in sala.

Per concludere in schifezza: sempre quell’ironia (già vista nei precedenti episodi) qua e là fuori luogo che ti fa cadere i pop-corn a terra (e non solo) assieme all’epicità del momento per intero.

Si aprono un milione di storie e non se ne conclude una. Tutto è a metà, niente fa il suo corso. Un caos senza senso e senza fine. I buoni, sempre un po’ “tardi”, si accorgono, sempre troppo tardi, che i cattivi sono lì dietro il monte a fargli cucù con i bestioni “satanici”. L’armata elfica nella sua corazza scintillante sparisce presto e delle epiche frecce non si ha ricordo alcuno. Inutili. Servono solo ad alzare il tasso estetico della pellicola. Gli uomini si rintanano presto nel “presepe” sotto il “Cervino” di Arda mentre i Nani, sempre buffi e spassosi anche in guerra, sono gli unici a immolarsi per la causa (e ne escono decimati).

Le grandi battaglie della unica e vera Trilogia son un lontanissimo ricordo, quando in realtà dovrebbero essere un futuro prossimo, ma lo sono solo infatti cronologicamente.

La battaglia delle cinque armate – che dà il nome all’episodio – è davvero scadente. Il conflitto lascia il posto ad eroismi nanici supportati da singoli super elfi. Come il duello finale in cui il re nano, Thorin II Scudodiquercia, liberatosi dalla cupidigia del denaro, in un lancio di orgoglio corre a sfidare direttamente il cattivissimo orco gigante, Azog, che da uno sperone semi ghiacciato comanda il suo esercito. Muoiono entrambi e tanti saluti.

Poi arrivano le aquile guidate da Beorn-orso nero che “magicamente” spazzano via l’altra intera armata d’orchi.

Tutti felici e contenti, tranne il pubblico.

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