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Italia, un museo diffuso ma chiuso al pubblico

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Siamo il Paese del «museo diffuso», come ci chiamano da un secolo: 204 musei e 221 tra monumenti e aeree archeologiche.

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Però siamo anche Roma, così bella, e così sfigurata dalla propria incuria e dalla confusione, una babele occupata da masse disordinate di turisti. Come Firenze, e come Venezia, splendide vetrine devolute ormai alle loro folle di clienti.

Siamo il Paese che ha sempre meno soldi per la cultura, perché Giulio Tremonti diceva che «la cultura non dà da mangiare» e faceva il ministro dell’economia.

E poi siamo il Paese degli sprechi incomprensibili, di Pompei che viene lasciata cadere a pezzi, di tutte quegli scandali che facciamo fatica a spiegare.

A Mazara del Vallo, Trapani, 25 addetti a 2500 euro netti al mese non riescono a tenere aperto il museo nei giorni festivi, per far vedere il “Satiro Danzante“, un rarissimo esempio di statuaria bronzea greca, rinvenuta da alcuni pescatori su un fondale di 500 metri del Canale di Sicilia, nella primavera del 1998. Quando questo capolavoro era stato prestato all’Expo di Aichi, nel 2005, era stato un successo clamoroso: in sei mesi poco meno di 4 milioni di giapponesi aveva fatto la coda per ammirarlo. In tutto il 2011, da noi, in provincia di Trapani, il Satiro Danzante è stato visto solo da 15mila visitatori.

Satiro-Danzante
Satiro Danzante presso Museo del Satiro Danzante-Mazara del Vallo-Sicilia

In Sicilia non bastano 25 dipendenti per una statua, e a Genova, invece, l’antico Museo dell’Accademia ligustica, in pieno centro, di fronte a Palazzo Ducale, s’era ritrovato con il direttore e un solo dipendente a gestire turni e orari.

Al Museo civico di Santa Caterina, in provincia di Treviso, ci ha pensato l’assessore alla cultura, Luciano Franchin, a fare da guida ai turisti per sopperire alle carenze di personale dovute alle festività e ai turni. «Che c’è di strano?», ha scherzato con i giornalisti. «Succede, bisogna darsi una mano fra di noi». Giusto, diamoci una mano.

Lasciamo perdere l’elenco dei musei chiusi per festa, da Roma a Napoli fino a Firenze: sarebbe impietoso. Purtroppo, altri numeri lo sono ancora di più.

Secondo il III Rapporto sullo stato dei Beni Culturali in Italia pubblicato da FareAmbiente, i 202 musei e 221 fra monumenti e aree archeologiche sono stati visitati nel 2013 da 36,4 milioni di persone per un incasso di 113,3 milioni di euro, cifre tutte in aumento rispetto ai periodi precedenti.

Il fatto è che sono niente, in confronto al Louvre, per esempio, che da solo ha fatto registrare 9,7 milioni di visitatori con 58 milioni di incassi, più della metà.

Ma se ai soldi dei biglietti, si aggiungono i 15 milioni dei serivizi ausiliari, i 16 da donazioni private, più altre voci varie, il totale sfiora i cento milioni in un anno: cioé quasi tutto l’incasso del «Paese del museo diffuso».

Se il Louvre rende da solo come tutto il nostro patrimonio, la cosa più grave è un’altra ancora, ed è che pure in questo campo siamo in drammatico arretramento.

Il caso di Torino è emblematico, perché fino a poco tempo fa era l’unica città italiana in controtendenza: negli ultimi dieci anni, con stanziamenti europei, statali, regionali e di fondazioni private, era stato investito un miliardo di euro con un programma preciso di rilancio e sviluppo.

I musei sono passati da 20 a 50. Il pubblico è decuplicato. Ma adesso succede che la Regione e il Comune non ce la fanno a gestire l’imponente infrastruttura creata, e anche lo Stato non è più in grado di mantenere gli impegni, stentando persino a pagare i due milioni di euro all’anno dovuti per contratto alla Reggia di Venaria.

Anche i privati, Istituto San Paolo e Cassa di Risparmio, hanno abbassato i finanziamenti. Alla fine pure Torino dovrà tagliare. E d’altro canto siamo davvero sicuri che potranno salvarci i grandi numeri?

Firenze, forse la più bella città italiana, con il turismo di massa non ha sempre messo a posto tutti i suoi conti e ha finito invece per smarrire la sua identità, diventando, come sostiene lo storico dell’arte, Carlo Sisi, «un non-luogo della cultura», in cui «i fiorentini sono soltanto ospiti, circondanti da bellezze delle quali non sanno più nulla: godono di una eredità che non conoscono». Firenze, dice, è «un negozio di luoghi eccelsi di deportazione turistica». Come Roma e come Venezia, è una vittima prigioniera del suo splendore e della sua storia.

Firenze-Gallerie-Uffizi

Com’è possibile, però, che all’estero tutto funzioni meglio? Avete mai visto Parigi – che ne so – resa schiava dai suoi turisti? Alla fine, il caso del Satiro Danzante, acclamato in Giappone e ignorato in Italia, dovrebbe farci riflettere, perché insegna che forse ha ragione FareAmbiente.

Alla fine del suo rapporto, sostiene che bisognerebbe cedere alcuni pezzi di eccellenza a grandi musei internazionali. Magari avremo risultati migliori e servizi decenti. Chissà, anche prezzi più alti e turisti un po’ più innamorati…

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